Scambio

Scambio

Seduto in questo caffè sto aspettando qualcuno. Ordino una mezza pinta di birra chiara e, in assenza di sottobicchieri, la sistemo su due salviette da bar ripiegate. Il tavolo è laccato di rosso. Ognuno ha un colore diverso: giallo, verde, blu, rosa… Sul mio c’è la copia di un quotidiano. È del giorno prima. Le pagine sembrano lievitate tanto è stato richiuso male. Nel mondo sembra sia successo solo calcio. Salto le pagine con le foto delle magliette a strisce e mi soffermo a curiosare tra la cronaca di Bologna. Provo a ricollegare nomi a visi e occupazioni e in parte ci riesco anche se non quanto vorrei. Ci vorrà ancora del tempo. Ma è comunque uno sbirciare distratto, il mio. Sento un piccolo tonfo seguito da una breve esclamazione di stupore. Rapidamente raccolgo il portafoglio caduto di mano a una donna prima che lo faccia lei e mi rimetto a sedere. Vado alla pagina della cultura. Così, per darmi un tono. Do qualche sorso alla birra mentre leggo un articolo su Philip Roth. Ha chiuso con la scrittura. Dopo 31 romanzi lo scrittore ormai ottantenne ritiene di non avere più nulla da dire. Sta rileggendo i classici che per lui hanno significato molto: Dosoevskij, Turgenev, Conrad, Hemingway… e in più lavora per il suo biografo ufficiale, Blake Bailey.
Mi viene in mente Vincenzo. E le belle chiacchiere che ogni tanto facciamo sui libri letti e sui loro autori. Mi piacerebbe vederlo più spesso, Vince. Anzi: Vins. Il principe. Il latifondista. L’amante delle cerimonie che non ti guarda in faccia quando parla e che pretende l’uso del lei. Il nobile altezzoso che va in giro col mantello e adora donare anelli a chi ritiene simpatico. Il burbero col blasone. Il fortunato ereditiero. Il nulla di tutto questo, il semplicemente amico mio bonaccione Vinnie, reso da me più volte e a sua insaputa protagonista di storie che così lo dipingevano.
Ricordo di quell’estate ad Avola, nel caldo infernale di una casa presa in affitto per le vacanze. Quel pomeriggio quando il mio lettore mp3 mandava la discografia degli Smiths mentre un ventilatore sistemato a metà tra la mia camera e quella sua muoveva un’aria densa come la colla. Lasciavamo aperta la porta che collegava le due stanze e parlavamo, ognuno dal suo letto matrimoniale per metà occupato e per metà inzuppato di sudore. Lui mi parlava di Pastorale Americana. E dello spirito e dell’arguzia che sembra appartenere agli ebrei. Considerazioni e digressioni scherzose sui luoghi comuni legati alle diverse etnie come contorno. Risate. Io leggevo le ultime pagine di un romanzo di Mc Carthy, Il Buio Fuori. E rispondevo alle sue domande. Mi diceva che le recensioni che ricordava erano molto simili a quello che stavo dicendo in proposito.
Il caldo rallentava le nostre parole. Noi dovevamo solo farle arrivare al ventilatore che poi le smistava spedendole a destinazione. Da lì a un’ora avrebbero come al solito interrotto l’erogazione dell’acqua. Ancora qualche discorso da fare a fette e qualche brano da Rank e poi ci saremmo trovati in tre -Alex dormiva al piano di sotto- in una inverosimile fila domestica, a giocarci l’ingresso sotto la doccia prima di restare a secco…
La ragazza del bar mi chiede se mi occorre altro. È bellissima e ha modi aggraziati. Sembra uscita da un fumetto, con i boccoli che le scendono sul viso, le lentiggini chiare appena accennate e la blusa da marinaretto. Le rispondo di no con tutta la gentilezza che riesco a grattare dalle pareti. Guardo l’ora e proprio in quel momento arriva chi stavo aspettando.
Lo scambio avviene veloce, quasi di fretta. Non c’è molto tempo per altro ma l’intesa non manca e un bacio all’aria che circonda le nostre teste riusciamo a darcelo.
Mi alzo mentre va via e con calma chiudo i bottoni del mio loden. Guardo verso il bancone e faccio un cenno che viene capito. La ragazza si muove, lentamente. Le sorrido. Poi
lascio due monete sul tavolo ed esco, senza aspettare il resto.

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