Foglie rosse

Foglie rosse

Passeggio lungo il vialetto del villaggio. Centocinquanta passi in tutto, da muro a muro. Gli aghi di pino formano mucchi separati ben distinti, pronti a prender fuoco con una sola scintilla. Per un attimo ho la tentazione di sentirmi bambino e di accenderne uno. Ma proseguo distogliendo lo sguardo e concentrandomi sulle case che dormono il loro letargo nella penombra. Sono così cambiate nel corso degli anni da essere quasi irriconoscibili. Hanno cambiato aspetto come quegli amici d’infanzia che ogni tanto incroci per strada e che stenti a capire se siano proprio loro e non piuttosto qualcuno che gli somigli.
Qui ho trascorso le estati della mia infanzia. Della mia adolescenza. Di tutta la mia vita, o quasi. Ricordo le pareti di foglie rosse che in novembre coloravano muri e recinzioni altrimenti bianchissime. A volte c’era una macchina azzurra. Ogni tanto allungava il collo per entrare nelle fotografie. Con il suo pupazzetto verde che da fuori però non si poteva vedere.
Un’altra vita.
Il rumore delle onde si distingue nettamente. Su questo si inserisce il traffico della statale che si srotola poche decine di metri in là.
C’è di nuovo quel peso. Le domande che si sommano e soffocano in gola. Restano dentro e si spezzano rumorosamente appena provi a tirarle fuori.
Scelgo una panchina. Poso il bicchiere di plastica sulla destra. Rimango qualche minuto immobile. Suoni, odori familiari, immagini.
I motori dei condizionatori sembrano enormi pacchi appesi fuori dalle finestre e dimenticati lì, come doni non consegnati. Promesse non mantenute di un tempo che non tornerà più. Ho una frase in testa che continua a ronzare e mi costringe a frequenti sospiri che davvero non so controllare e men che mai vorrei.
Ho fatto male a non riempire il bicchiere. Solo questo riesco a dirmi. Sarei rimasto su quella panchina ancora un po’. Ma il ghiaccio che si scioglie non è la migliore delle compagnie. Sono in piedi prima ancora di chiedermi cosa fare. Volto nel vialetto e chiudo il cancello, avvolgendo la piccola catena intorno agli assi centrali. Non faccio nessun rumore. Dalle persiane intravedo i bagliori della tv che avevo lasciato accesa, intenzionalmente. Un fiore mi cade in testa. Lo metto in tasca.
Spengo le luci.
Prima di salire le scale di casa resto nel buio del giardino ancora un po’.

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