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Scende.
La prima volta arriva così, senza punto interrogativo.
Scusi, scende?
Eccolo: l’uncino che si appende alle frasi per farle diventare domande.
Sto lì, davanti al sedile arancione, totalmente assente. È una signora e non riesce a passare. Ed io sono andato via da un pezzo, dimenticandomi lì. Faccio in tempo ad accorgermene e rientro dentro, chiudo lo sportello e sposto il veicolo parcheggiato in divieto di sosta. Ma dove cazzo ero? Chiedo scusa mentre lascio passare. Ho sentito uno stridore, come una puntina che graffia i solchi concentrici di pensieri impossibili da riacciuffare. Spirale che gira. Autoipnosi. Credo sia vero che a volte per la troppa stanchezza non si riesca a dormire. Dopo una giornata estenuante mi sono ritrovato a bere acqua in cucina mentre il display del microonde chiedeva aiuto, completamente sveglio ed insonne. La birra ed il cibo rotondo mangiato quasi a mezzanotte con un amico hanno aiutato a distendermi e a scaricare un po’ della elettricità elastica che mi tirava braccia e gambe. Ma per il resto qualcosa non ha funzionato. Devo aver saltato un passaggio mentre montavo l’affare del sonno. Come è successo per il divano e per quelle rondelle che poi avanzavano e che ci hanno fatto svitare di nuovo i braccioli. La figura mancante non l’ho più trovata. Zero sonno. E mi ritrovo sul bus che porta al lavoro in un silenzio raccolto che risulta inedito mentre fuori, il paesaggio cristallizzato nella brina gelata scivola fluidamente e il termometro della farmacia segna meno due gradi.

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